Edoardo
Ferrarini
L’Informatica umanistica
oggi
(con una nota al DM
18.3.2005)
Negli ultimi anni, alcune circostanze
legate all’attualità politico-istituzionale del nostro
Paese hanno riacceso il dibattito intorno allo statuto
disciplinare dell’informatica umanistica (d’ora innanzi
IU). Questo ha avuto nuovo spazio tra gli addetti ai
lavori e nelle sedi istituzionali deputate soprattutto a
seguito della creazione, prevista nei decreti attuativi
della riforma degli ordinamenti didattici, di una
specifica classe delle lauree specialistiche. Il DM 28
novembre 2000, recante Determinazione delle classi
delle lauree specialistiche, ha, infatti,
introdotto, dopo la classe 23/S «Informatica», la 24/S,
denominandola «Informatica per le discipline
umanistiche». A prima vista, parrebbe quella parola
definitiva ed autorevole, quel pronunciamento ufficiale,
che solitamente chiude un dibattito, anziché aprirlo;
potrebbe risultare, a questo punto, addirittura
incomprensibile ed anacronistica la domanda intorno ai
fondamenti epistemologici ed allo statuto disciplinare
dell’IU. Ciononostante, questa domanda è ancora aperta.
Lungi dal rappresentare la soluzione definitiva di un
problema, infatti, la neonata laurea specialistica ha,
invece, fatto emergere le numerose incongruenze latenti
nell’attuale sistema formativo. Alcuni ora si domandano:
come spiegare la presenza di una laurea specialistica
senza una corrispondente laurea triennale di primo
livello? Come può esserci, inoltre, un Corso di laurea
in assenza di uno specifico settore
scientifico-disciplinare? E ancora: l’informatica, che
la riforma ha introdotto, almeno tra le discipline
affini o integrative, nella quasi totalità dei Corsi di
laurea triennali delle Facoltà umanistiche, è
identificabile o no con l’IU?
Ad agitare le acque, seguirono, nella
primavera del 2002, alcune davvero improvvide
dichiarazioni del Ministro Letizia Moratti, che
ironizzavano sull’abbondante e fantasiosa produzione di
offerte formative da parte degli atenei italiani e si
scagliavano contro le «denominazioni strampalate» e «gli
slanci inventivi che hanno passato il segno», facendo
gli esempi, tra gli altri, delle «Scienze del fiore e
del verde» e dell’IU [1]. La motivata reazione a queste
dichiarazioni fu una lettera aperta al Ministro, di cui
si fecero promotori Fabio Ciotti, Domenico Fiormonte e
Gino Roncaglia, firmata da oltre 130 docenti
universitari italiani, in cui si rivendicava, invece, il
valore della disciplina e venivano chiesti interventi
concreti a sostegno dei progetti più innovativi in
questo promettente settore di studio[2]. Padre Busa, pioniere dell’IU in
Italia e non solo, unendosi all’appello, ha però
subordinato la sua adesione ad alcune precisazioni su
cosa egli intenda per IU, precisazioni contenute in una
breve nota dal titolo significativo: «Contro le
confusioni e nebulosità correnti».
È in questo contesto che nasce la
richiesta avanzata al Consiglio Universitario Nazionale
per la costituzione di un nuovo settore
scientifico-disciplinare, denominato «Informatica
applicata alle discipline umanistiche»[3]. Le ragioni della proposta ed una
bozza del testo della declaratoria del costituendo
settore si leggono nell’appello sottoscritto da una
ventina di docenti di varie università italiane e
promosso dal CISADU (Centro Interdipartimentale di
Servizi per l’Automazione nelle Discipline Umanistiche)
dell’Università degli Studi di Roma “La Sapienza”,
diretto da Tito Orlandi[4].
Le domande
Personalmente, condivido la sensazione di
padre Busa, la percezione cioè di «confusioni e
nebulosità», di una certa foschia, quando ci si trova ad
affrontare alla radice la domanda: che cos’è l’IU?
Sembra quasi, infatti, che essa sia comunemente intesa
come un grande contenitore, un ripostiglio disordinato
dove si possono trovare, uno accanto all’altro,
ipertesti didattici, nozioni di informatica di base,
programmi di lemmatizzazione e analisi linguistica,
progetti di filologia elettronica, riflessioni
sull’impatto dei media nella società e quant’altro metta
semplicemente assieme i tradizionali contenuti delle
materie umanistiche con le attuali macchine
dell’informatica. Proviamo allora, in prima battuta, a
distinguere le varie parti in cui è possibile scomporre
il problema, evidenziando i nodi concettuali più
rilevanti. Prima di preoccuparci delle risposte,
infatti, credo sia necessario riformulare il quesito in
modo più chiaro e pertinente.
1) L’IU è una disciplina?
La domanda è riferita, in primo luogo,
allo statuto disciplinare dell’IU e non, si badi, al suo
status accademico, che è altra cosa.
Nell’affrontare la questione non bisognerà dimenticare,
infatti, che lo statuto dell’IU in quanto disciplina
scientifica è stato ed è oggetto di un vasto dibattito
anche internazionale che, libero da ogni riferimento
diretto agli assetti accademici, ha il pregio di fissare
primariamente l’attenzione sulla disciplina e sui suoi
fondamenti [5].
2) Qual è l’oggetto di studio o il
campo d’indagine dell’IU e quali sono le sue metodologie
di ricerca?
Uno degli approcci più frequenti al
problema è quello che parte dalla titolatura stessa
della disciplina. È un problema di dosaggio, cioè di
come le due componenti (l’informatica e le
Humanities) interagiscano fra di loro? E poi
(altro argomento volentieri eluso), cosa intendiamo, in
realtà, per «informatica» e cosa, invece, per
«discipline umanistiche»? Il problema della metodologia
di ricerca è chiaramente collegato alla risposta data
intorno agli oggetti di studio della disciplina: è
l’informatica che impone i suoi metodi e li applica alle
scienze umane o l’esatto contrario (gli oggetti sono
quelli dell’informatica e la metodologia d’indagine
quella delle scienze umane)?
3) Esiste una sola IU o molte IU,
quante sono le singole discipline umanistiche?
Il che equivale a domandarsi se esista
veramente e in che cosa consista il fondo comune, per
così dire, delle discipline umanistiche. L’opposizione
tra «IU trasversale» e «IU specifiche», come le chiama
Gino Roncaglia[6], è uno degli aspetti più discussi
e controversi del problema.
4) In quale segmento della formazione
universitaria si deve collocare un’eventuale offerta
formativa in IU?
Con questa domanda, dai temi della ricerca
si passa all’ambito della didattica, avendo ben presente
il confine tra le due attività, ma ricordando anche il
nesso tra le discipline e il loro insegnamento che
sempre ha caratterizzato il vigente modello di
Università (dove si insegna ciò che si è ricercato).
Parlando dell’IU come Corso di laurea, e non all’interno
di altri percorsi curricolari, la scelta dell’Università
“Ca’ Foscari” di Venezia di attivare una laurea
specialistica all’interno della classe 24/S «Informatica
per le discipline umanistiche», è stato recentemente
seguito, a quanto risulta dalla consultazione della
«Banca dati dell’offerta formativa» del MIUR,
dall’Università della Calabria, che ha attivato una
laurea specialistica in «Informatica per le discipline
umanistiche», e dall’Università degli Studi della
Basilicata, che ha scelto di avviare il Corso di laurea
«Nuove tecnologie per la storia e i beni culturali». Al
contrario, l’Università di Napoli “L'Orientale” e
l’Università di Pisa hanno scelto per l’IU il segmento
formativo della laurea triennale, attivando
rispettivamente una laurea di primo livello in
«Linguaggi multimediali e informatica umanistica» ed una
in «Informatica umanistica». Dal momento che non esiste,
come s’è visto, una classe di laurea triennale
esplicitamente dedicata all’IU, è interessante vedere
come sono stati collocati i due percorsi formativi:
“L’Orientale” ha situato la sua offerta nella «Classe
delle lauree in scienze della mediazione linguistica»
(Classe 3), l’Università di Pisa, invece, nella «Classe
delle lauree in lettere» (Classe 5). Invito a consultare
le tabelle allegate al DM 4 agosto 2000 (compito non
semplice, né particolarmente gratificante) e a prendere
visione delle attività formative di base,
caratterizzanti ed affini previste nelle due classi: si
potranno così direttamente constatare le differenze
evidenti non solo negli insegnamenti previsti e nella
loro diversa distribuzione, ma anche nel disegno delle
competenze in uscita dei laureati delle due classi.
Ancora una volta, dunque, si dà lo stesso nome (IU) a
cose essenzialmente diverse.
5) L’IU ha un ruolo all’interno dei
restanti Corsi di laurea delle Facoltà
umanistiche?
L’informatica, che la riforma
universitaria ha introdotto, prevedendo il
riconoscimento di crediti formativi in ambito f), nella
totalità dei Corsi di laurea triennali, anche delle
Facoltà umanistiche, è identificabile o no con l’IU?
6) L’IU si occupa anche del corretto
uso delle tecnologie nell’attività didattica?
Non v’è dubbio che le nuove tecnologie
dell’informazione e della comunicazione siano destinate
a modificare profondamente la didattica universitaria,
anche nel caso delle discipline umanistiche. Alcuni,
tuttavia, tendono ad assegnare all’IU la riflessione
teorica sulle tecnologie didattiche o tecnologie
dell’istruzione e della formazione, mentre altri
limitano l’oggetto d’indagine alle cosiddette didattiche
disciplinari.
7) È auspicabile che l’IU veda presto
il suo riconoscimento in quanto settore scientifico-
disciplinare?
I settori scientifico-disciplinari, com’è
noto, sono stati recentemente rideterminati con il DM 23
dicembre 1999: i 370 settori individuati sono stati
distribuiti in 14 Aree disciplinari, che ridisegnano la
mappa delle migliaia di discipline riconosciute
nell’assetto precedente. Sarà questione da affrontare
seriamente, perché, come ha scritto Gino Roncaglia, la
richiesta avanzata per la costituzione dell’IU come
settore autonomo «non è fenomeno locale e di bassa
cucina accademica, legato all’assegnazione di qualche
cattedra o prebenda, ma l’unico strumento per garantire
una crescita adeguata alla disciplina» [7].
Per una definizione di
IU
Articolare in questo modo le problematiche
coinvolte nella definizione dello statuto disciplinare
dell’IU, permette di evitare ambiguità ed indebite
sovrapposizioni di piani diversi. Prima di qualsiasi
tentativo di risposta alle questioni elencate, però,
ritengo utile avanzare una proposta di definizione di
ciò in cui consiste la disciplina; una proposta che
apparirà senz’altro alquanto riduttiva e selettiva,
forse troppo rigida, ma che è principalmente determinata
da una ricerca intorno ai costituenti essenziali e
discriminanti dell’IU [8].
L’IU è la disciplina che studia
l’applicazione del modello computazionale proprio
dell’informatica alle discipline umanistiche, tanto con
riguardo ai risultati della ricerca scientifica così
conseguibili, quanto con attenzione alle innovazioni
metodologiche indotte.
Mi sembra importante precisare,
innanzitutto, cosa intendo con il termine «informatica»:
non le sue macchine, i suoi prodotti, bensì la sua
natura epistemologica. È comunemente diffusa, infatti,
la confusione tra l’informatica, in quanto scienza, e i
suoi prodotti, le macchine dell’informatica [9]. Se non vogliamo proprio risalire
al XVII secolo, alle intuizioni di Leibnitz sulla logica
matematica ed il linguaggio binario (come pure sarebbe
possibile fare), dovremmo almeno riconoscere nella
logica algebrica delle proposizioni di Boole (inizio del
XIX secolo) i primi elementi della scienza informatica,
che, in quanto scienza, ha il suo cuore in un preciso e
particolare paradigma epistemologico. L’informatica,
insisto, intesa come sguardo sul reale, approccio
particolare alla comprensione della realtà, sua
interpretazione mediante particolari prodotti della
conoscenza. Il paradigma conoscitivo dell’informatica,
la modalità peculiare con cui questa scienza interpreta
il reale, ha il suo fondamento nel cosiddetto modello
computazionale. Il trattamento automatico dei dati o
delle informazioni è possibile solo se quel particolare
aspetto di realtà è computabilis. Con il
termine computabilità s’intende, nella logica
matematica, la possibilità di calcolare il risultato di
un’operazione mediante un algoritmo finito. Il criterio
di computabilità, in altre parole, è un criterio
epistemologico secondo cui, per essere trattabile in
modo informatico, un problema scientifico o una teoria
devono essere descrivibili nella forma di un algoritmo,
devono cioè poter essere soggetti a calcolo automatico
[10].
L’IU è la disciplina che studia
l’applicazione del modello computazionale proprio
dell’informatica alle discipline umanistiche: è
l’informatica, nel suo paradigma conoscitivo, che viene
applicata alle scienze umane, non le sue macchine.
Conviene tenerlo presente di fronte a molti presunti
manuali di IU che si aprono con delle veloci ed
imprecise presentazioni di hardware e
software, opportunamente adattate ed
“omogeneizzate” ad usum degli umanisti, ma tali
da far inorridire sia gli informatici che i tecnici.
Nel campo delle discipline umanistiche,
dunque, si tratterà di individuare degli automatismi
trattabili secondo il modello computazionale, senza
nascondersi il fatto che la gran parte dei problemi che
si pongono allo studioso di scienze umane non sono
affatto computabili. Un problema che non risponde al
criterio di computabilità non è affatto uno
pseudo-problema o un problema non scientifico,
semplicemente non è cosa che interessi l’IU. Due soli
esempi per chiarire. Facciamo il caso delle filologie:
il giudizio sulla bontà o meno di un testimone
manoscritto, il valore da assegnare alle singole
varianti, il ritrovamento di una citazione allusiva,
l’integrazione del testo attraverso una congettura sono
problemi non computabili, in cui sussiste, oltretutto,
la grande maggioranza del lavoro del filologo. Questo
non impedisce, però, che altri aspetti, come la
collatio dei testimoni, possano essere trattati
con procedura computazionale, ossia attraverso la messa
a punto di una strategia di calcolo automatico. Nella
sfida di trovare un algoritmo di calcolo capace di
automatizzare (anche solo in parte) la collazione sta
uno degli oggetti di studio della filologia
computazionale, non certo nella macchina che lo
eseguirà o lo renderà possibile tecnicamente [11]. Ancora più evidente, forse, il
caso degli strumenti per l’analisi linguistica. Per
arrivare ad un sistema automatico di lemmatizzazione del
latino, sarà necessario individuare un algoritmo finito
(una serie di operazioni o procedure automatiche), in
base al quale, partendo dalla forma rosas
(input), si ottenga come risultato
(output): «nome comune, prima declinazione,
accusativo, femminile, plurale». Questo fa il sistema di
analisi e riconoscimento delle forme morfologiche
latine, denominato LEMLAT, brevetto dell’Istituto di
Linguistica Computazionale del CNR: prima ancora di
essere un programma installato su una macchina, esso
rappresenta un approccio computazionale alla gestione
dei dati linguistici (linguistica
computazionale), che passa attraverso la sfida della
costruzione teorica (sulla carta) di un algoritmo finito
di analisi delle forme delle parole latine [12].
L’IU, nella definizione data, opera
tanto con riguardo ai risultati della ricerca
scientifica così conseguibili, quanto con attenzione
alle innovazioni metodologiche indotte. Non si
tratta solo della necessità, da parte degli umanisti, di
entrare in possesso di una strumentazione teorica e
tecnologica di cui sono portatori i loro colleghi delle
Facoltà di Scienze o di Ingegneria, né di perpetuare una
visione essenzialmente strumentale dell’informatica come
scienza riferita a delle macchine, bensì di coglierne il
vero valore in quanto ermeneutica delle discipline.
L’informatica, infatti, è una scienza pervasiva, che
costringe i saperi tradizionali a dichiarare e
formalizzare le proprie procedure e, forse, anche a
modificarle radicalmente. Oltre ad applicare
semplicemente il modello computazionale di
interpretazione agli oggetti tradizionali delle
discipline umanistiche, infatti, l’IU si deve occupare,
a mio parere, anche della riflessione teorica su come
queste innovazioni di metodo si inseriscano all’interno
degli assetti epistemici preesistenti e consolidati. A
questo precisamente si riferisce Raul Mordenti, quando
scrive: «In una seconda fase il computer viene
finalmente inteso come generatore di problemi inediti in
un assetto epistemico del tutto nuovo (determinato dallo
stesso uso dell’informatica)» [13]. Restando all’interno degli
esempi che ho fornito, l’allestimento di
corpora elettronici di varianti testuali ed il
loro utilizzo nella ricostruzione critica di un testo,
può portare ad interrogarsi, di riflesso, sulla validità
delle procedure finora seguite, può enfatizzare parti
generalmente sottovalutate (come la trascrizione), può
liberare lo studioso da alcuni vincoli materiali (la
forma tipografica dell’apparato critico). Nella
lemmatizzazione automatica del latino potrebbero,
altresì, emergere incongruenze ed aporie dei
tradizionali schemi grammaticali che vanno allo stesso
modo osservate e vagliate criticamente.
Se, dunque, l’IU risulta dall’applicazione
di metodi informatici agli oggetti delle
discipline umanistiche, vediamo allora cosa non può
dirsi IU (ovviamente sempre in base alla definizione
data). Non dispongo dello spazio per articolare meglio
le ragioni delle singole esclusioni e tuttavia non
ricomprendo fra gli interessi dell’IU:
1) Le abilità informatiche di base,
ossia l’istruzione all’uso delle attuali macchine
dell’informatica. La versione aggiornata dell’antico
binomio «scrivere e fare di conto» deve costituire,
infatti, una parte del bagaglio formativo di qualsiasi
cittadino e, pertanto, con il programma ECDL
(European Computer Driving Licence), anche
l’Italia ha abilitato molti Istituti scolastici al
rilascio di un certificato, valido a livello europeo,
che dimostra il possesso degli elementi base
dell’alfabetizzazione informatica. Queste abilità
informatiche di base, che gli atenei riconoscono con
l’attribuzione di crediti formativi in ambito f), non
solo non attengono all’IU, ma non hanno oltretutto nulla
a che fare neppure con l’informatica stessa, in quanto
disciplina scientifica (prova ne sia il fatto che i
crediti maturati in quest’ambito non sono riferibili ad
alcun settore scientifico-disciplinare).
2) Le abilità informatiche che
potremmo chiamare specifiche di ogni ambito di
ricerca. Sono competenze pratiche di livello ulteriore
rispetto all’alfabetizzazione informatica, come la
capacità di effettuare ricerche bibliografiche on-line,
di servirsi di banche dati testuali in formato
elettronico, la conoscenza della sitografia scientifica
di riferimento per il proprio ambito di studio. Per
riferirsi a questi ed altri aspetti collegati ritengo
migliore l’espressione «Informatica per le
discipline umanistiche», dove il termine informatica,
però, è ancora una volta usato in senso debole, come
strumentazione informatica. Ogni settore
scientifico-disciplinare si è arricchito, infatti, negli
ultimi decenni, di strumenti digitali e telematici che
nessuno studioso di quell’ambito può ignorare. Per
quanto riguarda la letteratura e la filologia classica,
ad esempio, queste abilità informatiche
specifiche potrebbero identificarsi con l’essere in
grado di ricorrere proficuamente a banche dati
bibliografiche e testuali on-line, come L’Année
philologique sur Internet o il Lessico dei
grammatici greci antichi (LGGA), oppure su CD-ROM
(è il caso del Thesaurus Linguae Graecae, del
Packard Humanities Institut Cd-Rom, della
Bibliotheca Teubneriana Latina, dell’ottima
Poetria Nova, ecc.). Il ricorso a tali sussidi
costituisce certamente una necessaria competenza di
base, sia per chi intende dedicarsi in futuro alla
ricerca scientifica, sia per chi mira all’insegnamento
nella scuola secondaria superiore, ma trattasi sempre di
abilità informatiche, non di ricerca nell’ambito
specifico dell’IU.
3) L’indagine sociologica sui
media, sulle trasformazioni indotte nel tessuto
sociale e comunicativo dalle nuove tecnologie
multimediali, sul rapporto fra testo e immagine dopo
l’avvento del personal computer. In questo
caso, si ha quasi l’esatto contrario dell’IU, ossia gli
oggetti informatici sono studiati con metodologia
propria di una o più scienze umane, come la
sociologia.
4) La riflessione filosofica
sull’informatica, cioè la riflessione teorica sui
fondamenti dell’informatica che, come si è visto, sono
di natura logico-matematica. Questa è anche l’opinione
di uno storico della filosofia come Dino Buzzetti, che
da tempo si occupa di IU: «Non intendo tanto l’IU come
riflessione sui fondamenti teorici dell’informatica,
perché questo riguarda piuttosto la filosofia o
l’informatica, o entrambe, come discipline per sé
stanti»[14].
5) Le tecnologie didattiche in
genere. Nella declaratoria che si propone per il
costituendo settore scientifico-disciplinare, cui si è
già fatto cenno, leggiamo: «Nell’ambito delle
metodologie didattiche [il settore] si occupa del
corretto uso degli strumenti computazionali nella
progettazione e nello svolgimento dell’attività
didattica». Non sono d’accordo. Il riferimento alla
computazione, a mio parere, qui è fuorviante
(l’insegnamento-apprendimento è problema tutt’altro che
computabile) e consegne simili si possono già leggere
nelle declaratorie dei settori M-PED/03 «Didattica e
pedagogia speciale» ed M-PED/04 «Pedagogia
sperimentale». L’applicazione delle tecnologie al
processo d’insegnamento e apprendimento è da tempo,
infatti, oggetto di studio della pedagogia speciale e
sperimentale, le quali applicano a questo campo
d’indagine le loro proprie metodologie di ricerca. Non
credo né giustificabile, né possibile, né conveniente
che solo la didattica delle discipline umanistiche
pretenda di essere sottratta a quest’ambito e spostata
nella sfera dell’IU.
6) Da ultimo, con Tito Orlandi, vorrei
spendere una parola anche su tutti quei lavori
che certo non rendono un buon servizio ad una
giovane disciplina che ancora cerca uno statuto
disciplinare condiviso. Lo studioso, a proposito di
molti presunti studi di IU, recentemente così si
esprimeva: «Per lo più contengono la descrizione di
lavori in corso d’opera…, nei quali i problemi di
carattere teorico sono schiacciati sullo sfondo di un
ambiente di pura tecnica… È raro trovare riferimenti
alle soluzioni informatiche precedenti, utilizzate per
problemi analoghi… Tutto questo contribuisce a rendere
un cattivo servizio alla disciplina cui gli studi si
riferiscono e giustificano lo scetticismo»; e ancora:
«gli scettici sono spesso i migliori studiosi, che…
riconoscono a fiuto la differenza fra uno studio serio
ed una specie di gioco di prestigio»[15].
Le possibili risposte
Verifichiamo ora se questa visione dell’IU
può, in qualche modo, aiutarci a risolvere alcuni dei
dubbi e delle domande che ci siamo posti più sopra.
1) L’IU è una disciplina?
La risposta a questa prima domanda (ed è
senz’altro una risposta affermativa) deve essere data in
modo pragmatico, dall’esterno per così dire. Una
disciplina scientifica esiste, nei fatti, quando sia
individuabile una comunità scientifica che se ne occupi,
delle istituzioni culturali o centri di ricerca che
colleghino i suoi membri, quando esista una bibliografia
scientifica di riferimento, delle riviste
specialistiche, una manualistica dedicata e soprattutto
un lessico disciplinare condiviso. Da questo punto di
vista, ci si deve limitare a prendere atto, con onestà
ed obiettività, che esistono già i presupposti per
parlare dell’IU come di una scienza autonoma. Non è un
curioso ossimoro, né il frutto dell’inventiva che ha
portato ad oltre 2000 le denominazioni delle lauree in
Italia dopo la riforma degli ordinamenti universitari;
non è una moda passeggera legata al fascino dei nuovi
media, e solo in apparenza ha a che fare con i
calcolatori elettronici, ossia gli strumenti
dell’informatica. A livello internazionale, infatti,
esiste una comunità scientifica di studiosi che a vario
titolo se ne occupa (articolata anche in associazioni,
come l’Association for Computers and the Humanities,
l’Association for Computational Linguistics,
l’Association for Literary and Linguistic Computing,
l’Association for History and Computing). Esistono i
luoghi materiali per la comunicazione e lo scambio dei
lavori di ricerca (tra le riviste scientifiche, ricordo
almeno Computers and the Humanities,
Literary and Linguistic Computing, Computers
&Texts, Journal of Association for History
and Computing). Esiste un’ampia bibliografia
scientifica di riferimento ed esistono anche i repertori
per orientarsi al suo interno, come l’ottima
bibliografia di G. Adamo [16]. Al classico manuale di Tito
Orlandi [17] si è recentemente aggiunto
quello a cura di T. Numerico e A. Vespignani,
Informatica per le scienze umanistiche,
pubblicato da Il Mulino nel 2003.
2) Qual è l’oggetto di studio o il
campo d’indagine dell’IU e quali sono le sue metodologie
di ricerca?
A questa domanda abbiamo già
implicitamente risposto, definendo l’IU come la
disciplina che studia l’applicazione del modello
computazionale proprio dell’informatica alle discipline
umanistiche; dunque, essa applica le metodologie di
ricerca proprie dell’informatica agli oggetti di
studio tradizionali delle discipline
umanistiche.
3) Esiste una sola IU o molte IU,
quante sono le singole discipline umanistiche?
Per rispondere alla domanda, affrontiamo
il problema, non irrilevante, di che cosa s’intenda con
l’espressione discipline umanistiche. Non sembri
banale il chiederci quali e quante sono.
Nell’organizzazione attuale dei settori
scientifico-disciplinari, che possiamo prendere come
riferimento, l’ambito delle discipline umanistiche copre
almeno l’Area 10 «Scienze dell'antichità,
filologico-letterarie e storico-artistiche» e l’Area 11
«Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e
psicologiche». Ricordo che la prima comprende, a sua
volta, gli studi di preistoria e protostoria, la storia
antica, l’archeologia, le letterature e le filologie,
gli studi storico-artistici, la critica letteraria ed
artistica, le discipline dello spettacolo e la
musicologia, la glottologia e la linguistica, tutte le
lingue e le letterature straniere; mentre l’Area 11
raggruppa le storie medievale, moderna e contemporanea,
la storia della scienza e quella delle religioni, le
discipline demoetnoantropologiche e la geografia, le
filosofie, l’estetica, le pedagogie e le psicologie, le
scienze della documentazione come l’archivistica e la
biblioteconomia. Credo sia comprensibile, a questo
punto, l’evanescenza del concetto di fondo comune delle
discipline umanistiche, cui s’è già accennato, e la sua
sostanziale inservibilità nel momento fondativo di una
nuova disciplina. Personalmente, sono maggiormente
convinto dalla prospettiva delle molte informatiche
umanistiche disciplinari, perché credo che le
esperienze di ricerca più qualificate possano svolgersi
solamente all’interno dei settori
scientifico-disciplinari già dati. Ciò non significa,
però, negare un momento di unità. Ci può venire in aiuto
l’esempio della filologia, che, in quanto critica
testuale, è sostanzialmente indipendente, nei suoi
principi, da variabili storiche e, pur tuttavia, vive di
volta in volta come filologia greca, filologia
mediolatina, filologia della letteratura italiana. Le
filologie, dunque, sono molte ed una insieme, le
molte informatiche umanistiche disciplinari
rimandano comunque ad una unità di metodo. Riprenderemo
l’argomento rispondendo all’ultima domanda.
4) In quale segmento della formazione
universitaria si deve collocare un’eventuale offerta
formativa in IU?
Innanzitutto, invito a non confondere l’IU
come disciplina dall’IU come Corso di laurea e ad
evitare di incentrare il dibattito sullo statuto teorico
della disciplina a partire dalle questioni degli
ordinamenti didattici: è improponibile che l’esistenza
di una laurea possa avere valore fondante per una
qualsiasi disciplina. Se esiste una laurea, infatti, non
è detto che debba esistere una disciplina
corrispondente. Alcuni esempi di classi delle lauree
specialistiche che, nella titolatura, indicano le
competenze in uscita e non direttamente le discipline
oggetto degli insegnamenti sono la classe 13/S
«Editoria, comunicazione multimediale e giornalismo», la
39/S «Interpretariato di conferenza», la 59/S
«Pubblicità e comunicazione d'impresa», la 88/S «Scienze
per la cooperazione allo sviluppo»: una cosa è un
settore della ricerca scientifica, altra cosa è un Corso
di laurea. Nel disegnare quest’ultimo si indicano,
infatti, le competenze (il portfolio, direbbero i
pedagogisti) che il laureando deve acquisire; si traccia
un progetto ed un percorso di formazione per un
“informatico umanista”, persona che assomma in sé una
duplice competenza e la potrà utilmente mettere a frutto
nelle occupazioni professionali immaginate (editoria
elettronica specializzata, sistemazione e presentazione
di beni culturali, attività interculturali)[18]. L’IU, in quanto disciplina
scientifica, contribuirà, nella misura di un certo
numero di crediti, allo sviluppo di queste competenze e
abilità. Ancora nella prospettiva delle informatiche
umanistiche disciplinari, non posso che dichiararmi,
dunque, a favore della scelta veneziana di attivare una
laurea specialistica, anziché triennale. Se, infatti,
alle competenze teoriche e pratiche è giusto, come ci
ricorda Paolo Mastandrea, che «si affianchi la
conoscenza approfondita di almeno un ambito disciplinare
specifico, al fine di produrre applicazioni di natura
informatica che contribuiscano al reale progresso di una
disciplina»[19], risalta chiaramente il senso della
scelta ministeriale che ha previsto la laurea
specialistica in IU solo dopo il triennio di
approfondimento a carattere disciplinare.
5) L’IU ha un ruolo all’interno dei
restanti Corsi di laurea delle Facoltà
umanistiche?
La stessa funzione che l’IU, in quanto
disciplina scientifica, svolge all’interno dei Corsi di
laurea della classe 24/S, potrà trovare ovviamente
congruo spazio anche all’interno dell’offerta formativa
di percorsi diversamente indirizzati; questo discorso
(lo ripeterò ancora una volta) non riguarda, però, per
le ragioni già dette, le abilità informatiche di base e
specifiche, che saranno confinate, in quanto competenze
tecnico-pratiche, nell’ambito f). Su questo punto mi
permetto ancora due piccole provocazioni: in un’aula
informatica, gli studenti apprendono come editare un
testo elettronico ed inviarlo ad un corrispondente di
posta elettronica: fu vera informatica? Nella stessa
aula o laboratorio, gli studenti di letteratura greca
imparano ad usare le principali banche dati testuali,
patrimonio della disciplina: fu vera IU?
6) L’IU si occupa anche del corretto
uso delle tecnologie nell’attività didattica?
Qualche breve appunto sui temi relativi
alla didattica. È proprio a livello delle
informatiche umanistiche disciplinari, secondo il mio
giudizio, che si avrebbe il pregio di recuperare
correttamente anche l’aspetto didattico, declinato,
questa volta, non nel senso delle tecnologie
dell’istruzione in genere, ma in quello della
didattica disciplinare. Nell’istituzione
universitaria (in ciò diversa da altri enti di pura
ricerca, come il CNR), ogni disciplina comprende,
infatti, la riflessione sui metodi e la predisposizione
di strumenti utili alla sua trasmissione; ogni
disciplina, quindi, può e deve occuparsi della
trasmissione del deposito delle sue conoscenze anche
attraverso l’uso delle nuove tecnologie digitali e
telematiche, perché il contenuto che si trasmette non
può mai essere considerato indifferente al processo
della sua trasmissione.
7) È auspicabile che l’IU veda presto
il suo riconoscimento in quanto settore scientifico-
disciplinare?
La risposta è senz’altro difficile e
impegnativa. A rischio di risultare pedante, anche qui
procederei per premesse:
1) Una cosa è il problema della disciplina
in sé, altra cosa quello dell’eventuale istituzione di
un settore scientifico-disciplinare autonomo all’interno
dell’organizzazione della ricerca scientifica in Italia
(una cosa è lo statuto disciplinare, altra cosa lo
status accademico di una disciplina).
2) Possono benissimo esistere discipline
(ossia settori di studio) al di là dei settori
scientifico-disciplinari indicati nei provvedimenti
ministeriali. Penso, per esempio, alla codicologia, che
è andata nel tempo distinguendosi dalla paleografia e
che oggi è unanimemente considerata come una scienza
autonoma: non solo non dispone di un settore
scientifico-disciplinare, ma non è neppure nominata
nelle declaratorie dei settori dove ci si aspetterebbe
di trovarla.
3) Diversamente, talvolta, un settore
scientifico-disciplinare copre, nella realtà, più
discipline distinte. A volte già il titolo del settore
lo dichiara apertamente, come nel caso di M-DEA/01
«Discipline demoetnoantropologiche», che comprende
l’antropologia e l’etnologia; a volte lo ammette il
testo della declaratoria, come M-STO/09 «Paleografia»,
settore che comprende anche la diplomatica, o L-ANT/03
«Storia romana», che comprende lo studio delle fonti
epigrafiche. Si noti che nella precedente organizzazione
dei settori, sia la diplomatica che l’epigrafia godevano
di un proprio spazio; la rideterminazione dei settori,
tuttavia, non si può dire abbia messo in dubbio
l’autonomia del loro statuto disciplinare.
4) Segnalo che tra i settori
scientifico-disciplinari riconducibili alle scienze
umane, almeno uno già presenta un richiamo
all’informatica: è L-LIN/01 «Glottologia e linguistica»,
la cui declaratoria afferma che «include, nell’ambito
delle metodologie applicative del linguaggio, lo studio
delle interazioni tra linguistica e informatica».
Considerato tutto questo e nella
prospettiva, che ho già fatto mia, delle molte
informatiche umanistiche disciplinari, mi trovo
pienamente d’accordo con chi ha proposto di aggiungere
righe alle declaratorie dei vari settori già esistenti,
righe che facciano esplicito riferimento agli studi di
IU. La richiesta di istituzione di un nuovo settore,
invece, mi sembra avere in sé alcune incongruenze e
controindicazioni:
1) in primo luogo, pretende ciò che a
nessun altro è stato concesso: non esistono, infatti,
altre informatiche applicate, neppure l’informatica
medica o quella giuridica;
2) in secondo luogo, i proponenti sono
costretti a chiederne l’istituzione sia all’interno
dell’Area 10 che dell’Area 11, creando in questo modo un
altro fastidioso unicum;
3) in terzo luogo, il richiamo, che spesso
viene fatto, ad «una competenza umanistica di tipo
trasversale» non è argomento granché forte a sostegno
della richiesta. Così lo introduce Tito Orlandi: «Se si
pensasse che una pretesa simile fosse irrealistica, si
dovrebbe riflettere invece sul fatto che sono già ben
consolidate in ambito umanistico discipline trasversali
di questo tipo. È il caso per es. della codicologia, la
quale presuppone una competenza anche nelle varie
situazioni storico-linguistiche nelle quali sono stati
usati i codici, ma nella sua essenza è indipendente da
ciascuna di esse. E così la filologia, i cui principi
sono sostanzialmente indipendenti dalla lingua dei testi
a cui viene applicata, ma nello stesso tempo, nella
prassi concreta, è strettamente connessa all’aspetto
linguistico»[20]. Osservazioni difficilmente
contestabili, ma, faccio notare, né la codicologia, né
la filologia godono di un settore
scientifico-disciplinare autonomo.
In conclusione, l’IU è una disciplina;
proprio come la filologia ha un’unità di metodo, ma vive
solo incarnandosi, per così dire, all’interno delle
discipline già date e riconosciute come settori
scientifico-disciplinari; non vi è oggi, dal punto di
vista dello statuto disciplinare, alcuna stringente
necessità di un suo riconoscimento come settore
autonomo.
Nota al DM 18.3.2005
Maggiore attenzione avrebbe meritato,
soprattutto nella piccola comunità degli studiosi di IU,
l’uscita del Decreto Ministeriale 18 marzo 2005
(pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 5 aprile 2005,
n. 78)[21], che recepisce una proposta
formulata dal Consiglio Universitario Nazionale (parere
generale n. 107) e modifica il testo delle declaratorie
di alcuni dei settori scientifico-disciplinari, così
come recate dal DM 4.10.2000. Tra i vari interventi,
segnalo l’aggiunta di un esplicito riferimento agli
studi condotti con metodologia informatica alle
declaratorie di tutti i settori L-FIL-LET, da
L-FIL-LET/01 CIVILTÀ EGEE a L-FIL-LET/15 FILOLOGIA
GERMANICA. Il nuovo accenno è stato giustapposto e
cucito al testo preesistente con modalità diverse, ma
nella sostanza equivalenti; riporto, a mo’ d’esempio, la
nuova declaratoria che si legge nel Decreto per il
settore L-FIL-LET/04 LINGUA E LETTERATURA LATINA:
«Comprende gli studi filologici e
letterari sulle opere in lingua latina e sui relativi
autori dalle origini alla fine dell’evo antico, compresa
l'età degli stati romano barbarici, studi condotti con
gli strumenti propri e le metodologie della ricerca
filologica, linguistica e critico-letteraria, con
riferimento alla lingua latina e alla sua storia, nonché
quelli sulle tecniche didattiche di trasmissione delle
conoscenze relative al settore e quelli per
l’analisi linguistica e informatica dei testi».
Pare, dunque, che le discussioni sullo
status accademico dell'IU abbiano portato ad un
primo importante risultato e proprio nella direzione,
auspicata da chi scrive, delle molte informatiche
umanistiche ben radicate nei settori
scientifico-disciplinari già esistenti. Pur nella
brevità del dettato, inoltre, la dicotomia tra
«l’analisi informatica» e «i testi» si lascia facilmente
assimilare a quella tra il modello computazionale
proprio dell’informatica e gli oggetti di studio delle
scienze umanistiche che, nel caso delle discipline
linguistiche e letterarie, sono senz’altro
identificabili con «i testi». Certo, si tratta di una
soluzione parziale e non definitiva al problema dell’IU;
fra le incongruenze ancora presenti, basterebbe citare
il fatto che non solo non sono stati toccati i settori
L-ANT, L-ART, L-LIN e L-OR dell’Area 10, ma soprattutto
non sono stati fatti interventi su alcuna delle
discipline dell’Area 11, nonostante i molti progetti di
ricerca in corso, nell’ambito delle scienze storiche,
che riguardano la digitalizzazione e l’analisi
informatica delle fonti.
L’auspicio che si può formulare, in
conclusione, è che questo piccolo passo a livello
istituzionale possa portare la comunità scientifica a
promuovere, all’interno dei singoli settori, piste di
ricerca e singoli studiosi impegnati nell’ambito dell’IU
e, cosa di cui si sente ormai urgente la necessità,
possa favorire al più presto le condizioni migliori per
la creazione di una vera e propria Società italiana di
IU.