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Edoardo Ferrarini è Professore aggregato presso il Dipartimento di Linguistica Letteratura e Scienze della Comunicazione della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Verona

edoardo.ferrarini@univr.it

data di pubblicazione: 01/06/2006

 

 

     

 

Edoardo Ferrarini
L’Informatica umanistica oggi
(con una nota al DM 18.3.2005)

Negli ultimi anni, alcune circostanze legate all’attualità politico-istituzionale del nostro Paese hanno riacceso il dibattito intorno allo statuto disciplinare dell’informatica umanistica (d’ora innanzi IU). Questo ha avuto nuovo spazio tra gli addetti ai lavori e nelle sedi istituzionali deputate soprattutto a seguito della creazione, prevista nei decreti attuativi della riforma degli ordinamenti didattici, di una specifica classe delle lauree specialistiche. Il DM 28 novembre 2000, recante Determinazione delle classi delle lauree specialistiche, ha, infatti, introdotto, dopo la classe 23/S «Informatica», la 24/S, denominandola «Informatica per le discipline umanistiche». A prima vista, parrebbe quella parola definitiva ed autorevole, quel pronunciamento ufficiale, che solitamente chiude un dibattito, anziché aprirlo; potrebbe risultare, a questo punto, addirittura incomprensibile ed anacronistica la domanda intorno ai fondamenti epistemologici ed allo statuto disciplinare dell’IU. Ciononostante, questa domanda è ancora aperta. Lungi dal rappresentare la soluzione definitiva di un problema, infatti, la neonata laurea specialistica ha, invece, fatto emergere le numerose incongruenze latenti nell’attuale sistema formativo. Alcuni ora si domandano: come spiegare la presenza di una laurea specialistica senza una corrispondente laurea triennale di primo livello? Come può esserci, inoltre, un Corso di laurea in assenza di uno specifico settore scientifico-disciplinare? E ancora: l’informatica, che la riforma ha introdotto, almeno tra le discipline affini o integrative, nella quasi totalità dei Corsi di laurea triennali delle Facoltà umanistiche, è identificabile o no con l’IU?

Ad agitare le acque, seguirono, nella primavera del 2002, alcune davvero improvvide dichiarazioni del Ministro Letizia Moratti, che ironizzavano sull’abbondante e fantasiosa produzione di offerte formative da parte degli atenei italiani e si scagliavano contro le «denominazioni strampalate» e «gli slanci inventivi che hanno passato il segno», facendo gli esempi, tra gli altri, delle «Scienze del fiore e del verde» e dell’IU [1]. La motivata reazione a queste dichiarazioni fu una lettera aperta al Ministro, di cui si fecero promotori Fabio Ciotti, Domenico Fiormonte e Gino Roncaglia, firmata da oltre 130 docenti universitari italiani, in cui si rivendicava, invece, il valore della disciplina e venivano chiesti interventi concreti a sostegno dei progetti più innovativi in questo promettente settore di studio[2]. Padre Busa, pioniere dell’IU in Italia e non solo, unendosi all’appello, ha però subordinato la sua adesione ad alcune precisazioni su cosa egli intenda per IU, precisazioni contenute in una breve nota dal titolo significativo: «Contro le confusioni e nebulosità correnti».

È in questo contesto che nasce la richiesta avanzata al Consiglio Universitario Nazionale per la costituzione di un nuovo settore scientifico-disciplinare, denominato «Informatica applicata alle discipline umanistiche»[3]. Le ragioni della proposta ed una bozza del testo della declaratoria del costituendo settore si leggono nell’appello sottoscritto da una ventina di docenti di varie università italiane e promosso dal CISADU (Centro Interdipartimentale di Servizi per l’Automazione nelle Discipline Umanistiche) dell’Università degli Studi di Roma “La Sapienza”, diretto da Tito Orlandi[4].

Le domande

Personalmente, condivido la sensazione di padre Busa, la percezione cioè di «confusioni e nebulosità», di una certa foschia, quando ci si trova ad affrontare alla radice la domanda: che cos’è l’IU? Sembra quasi, infatti, che essa sia comunemente intesa come un grande contenitore, un ripostiglio disordinato dove si possono trovare, uno accanto all’altro, ipertesti didattici, nozioni di informatica di base, programmi di lemmatizzazione e analisi linguistica, progetti di filologia elettronica, riflessioni sull’impatto dei media nella società e quant’altro metta semplicemente assieme i tradizionali contenuti delle materie umanistiche con le attuali macchine dell’informatica. Proviamo allora, in prima battuta, a distinguere le varie parti in cui è possibile scomporre il problema, evidenziando i nodi concettuali più rilevanti. Prima di preoccuparci delle risposte, infatti, credo sia necessario riformulare il quesito in modo più chiaro e pertinente.

1) L’IU è una disciplina?

La domanda è riferita, in primo luogo, allo statuto disciplinare dell’IU e non, si badi, al suo status accademico, che è altra cosa. Nell’affrontare la questione non bisognerà dimenticare, infatti, che lo statuto dell’IU in quanto disciplina scientifica è stato ed è oggetto di un vasto dibattito anche internazionale che, libero da ogni riferimento diretto agli assetti accademici, ha il pregio di fissare primariamente l’attenzione sulla disciplina e sui suoi fondamenti [5].

2) Qual è l’oggetto di studio o il campo d’indagine dell’IU e quali sono le sue metodologie di ricerca?

Uno degli approcci più frequenti al problema è quello che parte dalla titolatura stessa della disciplina. È un problema di dosaggio, cioè di come le due componenti (l’informatica e le Humanities) interagiscano fra di loro? E poi (altro argomento volentieri eluso), cosa intendiamo, in realtà, per «informatica» e cosa, invece, per «discipline umanistiche»? Il problema della metodologia di ricerca è chiaramente collegato alla risposta data intorno agli oggetti di studio della disciplina: è l’informatica che impone i suoi metodi e li applica alle scienze umane o l’esatto contrario (gli oggetti sono quelli dell’informatica e la metodologia d’indagine quella delle scienze umane)?

3) Esiste una sola IU o molte IU, quante sono le singole discipline umanistiche?

Il che equivale a domandarsi se esista veramente e in che cosa consista il fondo comune, per così dire, delle discipline umanistiche. L’opposizione tra «IU trasversale» e «IU specifiche», come le chiama Gino Roncaglia[6], è uno degli aspetti più discussi e controversi del problema.

4) In quale segmento della formazione universitaria si deve collocare un’eventuale offerta formativa in IU?

Con questa domanda, dai temi della ricerca si passa all’ambito della didattica, avendo ben presente il confine tra le due attività, ma ricordando anche il nesso tra le discipline e il loro insegnamento che sempre ha caratterizzato il vigente modello di Università (dove si insegna ciò che si è ricercato). Parlando dell’IU come Corso di laurea, e non all’interno di altri percorsi curricolari, la scelta dell’Università “Ca’ Foscari” di Venezia di attivare una laurea specialistica all’interno della classe 24/S «Informatica per le discipline umanistiche», è stato recentemente seguito, a quanto risulta dalla consultazione della «Banca dati dell’offerta formativa» del MIUR, dall’Università della Calabria, che ha attivato una laurea specialistica in «Informatica per le discipline umanistiche», e dall’Università degli Studi della Basilicata, che ha scelto di avviare il Corso di laurea «Nuove tecnologie per la storia e i beni culturali». Al contrario, l’Università di Napoli “L'Orientale” e l’Università di Pisa hanno scelto per l’IU il segmento formativo della laurea triennale, attivando rispettivamente una laurea di primo livello in «Linguaggi multimediali e informatica umanistica» ed una in «Informatica umanistica». Dal momento che non esiste, come s’è visto, una classe di laurea triennale esplicitamente dedicata all’IU, è interessante vedere come sono stati collocati i due percorsi formativi: “L’Orientale” ha situato la sua offerta nella «Classe delle lauree in scienze della mediazione linguistica» (Classe 3), l’Università di Pisa, invece, nella «Classe delle lauree in lettere» (Classe 5). Invito a consultare le tabelle allegate al DM 4 agosto 2000 (compito non semplice, né particolarmente gratificante) e a prendere visione delle attività formative di base, caratterizzanti ed affini previste nelle due classi: si potranno così direttamente constatare le differenze evidenti non solo negli insegnamenti previsti e nella loro diversa distribuzione, ma anche nel disegno delle competenze in uscita dei laureati delle due classi. Ancora una volta, dunque, si dà lo stesso nome (IU) a cose essenzialmente diverse.

5) L’IU ha un ruolo all’interno dei restanti Corsi di laurea delle Facoltà umanistiche?

L’informatica, che la riforma universitaria ha introdotto, prevedendo il riconoscimento di crediti formativi in ambito f), nella totalità dei Corsi di laurea triennali, anche delle Facoltà umanistiche, è identificabile o no con l’IU?

6) L’IU si occupa anche del corretto uso delle tecnologie nell’attività didattica?

Non v’è dubbio che le nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione siano destinate a modificare profondamente la didattica universitaria, anche nel caso delle discipline umanistiche. Alcuni, tuttavia, tendono ad assegnare all’IU la riflessione teorica sulle tecnologie didattiche o tecnologie dell’istruzione e della formazione, mentre altri limitano l’oggetto d’indagine alle cosiddette didattiche disciplinari.

7) È auspicabile che l’IU veda presto il suo riconoscimento in quanto settore scientifico- disciplinare?

I settori scientifico-disciplinari, com’è noto, sono stati recentemente rideterminati con il DM 23 dicembre 1999: i 370 settori individuati sono stati distribuiti in 14 Aree disciplinari, che ridisegnano la mappa delle migliaia di discipline riconosciute nell’assetto precedente. Sarà questione da affrontare seriamente, perché, come ha scritto Gino Roncaglia, la richiesta avanzata per la costituzione dell’IU come settore autonomo «non è fenomeno locale e di bassa cucina accademica, legato all’assegnazione di qualche cattedra o prebenda, ma l’unico strumento per garantire una crescita adeguata alla disciplina» [7].

Per una definizione di IU

Articolare in questo modo le problematiche coinvolte nella definizione dello statuto disciplinare dell’IU, permette di evitare ambiguità ed indebite sovrapposizioni di piani diversi. Prima di qualsiasi tentativo di risposta alle questioni elencate, però, ritengo utile avanzare una proposta di definizione di ciò in cui consiste la disciplina; una proposta che apparirà senz’altro alquanto riduttiva e selettiva, forse troppo rigida, ma che è principalmente determinata da una ricerca intorno ai costituenti essenziali e discriminanti dell’IU [8].

L’IU è la disciplina che studia l’applicazione del modello computazionale proprio dell’informatica alle discipline umanistiche, tanto con riguardo ai risultati della ricerca scientifica così conseguibili, quanto con attenzione alle innovazioni metodologiche indotte.

Mi sembra importante precisare, innanzitutto, cosa intendo con il termine «informatica»: non le sue macchine, i suoi prodotti, bensì la sua natura epistemologica. È comunemente diffusa, infatti, la confusione tra l’informatica, in quanto scienza, e i suoi prodotti, le macchine dell’informatica [9]. Se non vogliamo proprio risalire al XVII secolo, alle intuizioni di Leibnitz sulla logica matematica ed il linguaggio binario (come pure sarebbe possibile fare), dovremmo almeno riconoscere nella logica algebrica delle proposizioni di Boole (inizio del XIX secolo) i primi elementi della scienza informatica, che, in quanto scienza, ha il suo cuore in un preciso e particolare paradigma epistemologico. L’informatica, insisto, intesa come sguardo sul reale, approccio particolare alla comprensione della realtà, sua interpretazione mediante particolari prodotti della conoscenza. Il paradigma conoscitivo dell’informatica, la modalità peculiare con cui questa scienza interpreta il reale, ha il suo fondamento nel cosiddetto modello computazionale. Il trattamento automatico dei dati o delle informazioni è possibile solo se quel particolare aspetto di realtà è computabilis. Con il termine computabilità s’intende, nella logica matematica, la possibilità di calcolare il risultato di un’operazione mediante un algoritmo finito. Il criterio di computabilità, in altre parole, è un criterio epistemologico secondo cui, per essere trattabile in modo informatico, un problema scientifico o una teoria devono essere descrivibili nella forma di un algoritmo, devono cioè poter essere soggetti a calcolo automatico [10].

L’IU è la disciplina che studia l’applicazione del modello computazionale proprio dell’informatica alle discipline umanistiche: è l’informatica, nel suo paradigma conoscitivo, che viene applicata alle scienze umane, non le sue macchine. Conviene tenerlo presente di fronte a molti presunti manuali di IU che si aprono con delle veloci ed imprecise presentazioni di hardware e software, opportunamente adattate ed “omogeneizzate” ad usum degli umanisti, ma tali da far inorridire sia gli informatici che i tecnici.

Nel campo delle discipline umanistiche, dunque, si tratterà di individuare degli automatismi trattabili secondo il modello computazionale, senza nascondersi il fatto che la gran parte dei problemi che si pongono allo studioso di scienze umane non sono affatto computabili. Un problema che non risponde al criterio di computabilità non è affatto uno pseudo-problema o un problema non scientifico, semplicemente non è cosa che interessi l’IU. Due soli esempi per chiarire. Facciamo il caso delle filologie: il giudizio sulla bontà o meno di un testimone manoscritto, il valore da assegnare alle singole varianti, il ritrovamento di una citazione allusiva, l’integrazione del testo attraverso una congettura sono problemi non computabili, in cui sussiste, oltretutto, la grande maggioranza del lavoro del filologo. Questo non impedisce, però, che altri aspetti, come la collatio dei testimoni, possano essere trattati con procedura computazionale, ossia attraverso la messa a punto di una strategia di calcolo automatico. Nella sfida di trovare un algoritmo di calcolo capace di automatizzare (anche solo in parte) la collazione sta uno degli oggetti di studio della filologia computazionale, non certo nella macchina che lo eseguirà o lo renderà possibile tecnicamente [11]. Ancora più evidente, forse, il caso degli strumenti per l’analisi linguistica. Per arrivare ad un sistema automatico di lemmatizzazione del latino, sarà necessario individuare un algoritmo finito (una serie di operazioni o procedure automatiche), in base al quale, partendo dalla forma rosas (input), si ottenga come risultato (output): «nome comune, prima declinazione, accusativo, femminile, plurale». Questo fa il sistema di analisi e riconoscimento delle forme morfologiche latine, denominato LEMLAT, brevetto dell’Istituto di Linguistica Computazionale del CNR: prima ancora di essere un programma installato su una macchina, esso rappresenta un approccio computazionale alla gestione dei dati linguistici (linguistica computazionale), che passa attraverso la sfida della costruzione teorica (sulla carta) di un algoritmo finito di analisi delle forme delle parole latine [12].

L’IU, nella definizione data, opera tanto con riguardo ai risultati della ricerca scientifica così conseguibili, quanto con attenzione alle innovazioni metodologiche indotte. Non si tratta solo della necessità, da parte degli umanisti, di entrare in possesso di una strumentazione teorica e tecnologica di cui sono portatori i loro colleghi delle Facoltà di Scienze o di Ingegneria, né di perpetuare una visione essenzialmente strumentale dell’informatica come scienza riferita a delle macchine, bensì di coglierne il vero valore in quanto ermeneutica delle discipline. L’informatica, infatti, è una scienza pervasiva, che costringe i saperi tradizionali a dichiarare e formalizzare le proprie procedure e, forse, anche a modificarle radicalmente. Oltre ad applicare semplicemente il modello computazionale di interpretazione agli oggetti tradizionali delle discipline umanistiche, infatti, l’IU si deve occupare, a mio parere, anche della riflessione teorica su come queste innovazioni di metodo si inseriscano all’interno degli assetti epistemici preesistenti e consolidati. A questo precisamente si riferisce Raul Mordenti, quando scrive: «In una seconda fase il computer viene finalmente inteso come generatore di problemi inediti in un assetto epistemico del tutto nuovo (determinato dallo stesso uso dell’informatica)» [13]. Restando all’interno degli esempi che ho fornito, l’allestimento di corpora elettronici di varianti testuali ed il loro utilizzo nella ricostruzione critica di un testo, può portare ad interrogarsi, di riflesso, sulla validità delle procedure finora seguite, può enfatizzare parti generalmente sottovalutate (come la trascrizione), può liberare lo studioso da alcuni vincoli materiali (la forma tipografica dell’apparato critico). Nella lemmatizzazione automatica del latino potrebbero, altresì, emergere incongruenze ed aporie dei tradizionali schemi grammaticali che vanno allo stesso modo osservate e vagliate criticamente.

Se, dunque, l’IU risulta dall’applicazione di metodi informatici agli oggetti delle discipline umanistiche, vediamo allora cosa non può dirsi IU (ovviamente sempre in base alla definizione data). Non dispongo dello spazio per articolare meglio le ragioni delle singole esclusioni e tuttavia non ricomprendo fra gli interessi dell’IU:

1) Le abilità informatiche di base, ossia l’istruzione all’uso delle attuali macchine dell’informatica. La versione aggiornata dell’antico binomio «scrivere e fare di conto» deve costituire, infatti, una parte del bagaglio formativo di qualsiasi cittadino e, pertanto, con il programma ECDL (European Computer Driving Licence), anche l’Italia ha abilitato molti Istituti scolastici al rilascio di un certificato, valido a livello europeo, che dimostra il possesso degli elementi base dell’alfabetizzazione informatica. Queste abilità informatiche di base, che gli atenei riconoscono con l’attribuzione di crediti formativi in ambito f), non solo non attengono all’IU, ma non hanno oltretutto nulla a che fare neppure con l’informatica stessa, in quanto disciplina scientifica (prova ne sia il fatto che i crediti maturati in quest’ambito non sono riferibili ad alcun settore scientifico-disciplinare).

2) Le abilità informatiche che potremmo chiamare specifiche di ogni ambito di ricerca. Sono competenze pratiche di livello ulteriore rispetto all’alfabetizzazione informatica, come la capacità di effettuare ricerche bibliografiche on-line, di servirsi di banche dati testuali in formato elettronico, la conoscenza della sitografia scientifica di riferimento per il proprio ambito di studio. Per riferirsi a questi ed altri aspetti collegati ritengo migliore l’espressione «Informatica per le discipline umanistiche», dove il termine informatica, però, è ancora una volta usato in senso debole, come strumentazione informatica. Ogni settore scientifico-disciplinare si è arricchito, infatti, negli ultimi decenni, di strumenti digitali e telematici che nessuno studioso di quell’ambito può ignorare. Per quanto riguarda la letteratura e la filologia classica, ad esempio, queste abilità informatiche specifiche potrebbero identificarsi con l’essere in grado di ricorrere proficuamente a banche dati bibliografiche e testuali on-line, come L’Année philologique sur Internet o il Lessico dei grammatici greci antichi (LGGA), oppure su CD-ROM (è il caso del Thesaurus Linguae Graecae, del Packard Humanities Institut Cd-Rom, della Bibliotheca Teubneriana Latina, dell’ottima Poetria Nova, ecc.). Il ricorso a tali sussidi costituisce certamente una necessaria competenza di base, sia per chi intende dedicarsi in futuro alla ricerca scientifica, sia per chi mira all’insegnamento nella scuola secondaria superiore, ma trattasi sempre di abilità informatiche, non di ricerca nell’ambito specifico dell’IU.

3) L’indagine sociologica sui media, sulle trasformazioni indotte nel tessuto sociale e comunicativo dalle nuove tecnologie multimediali, sul rapporto fra testo e immagine dopo l’avvento del personal computer. In questo caso, si ha quasi l’esatto contrario dell’IU, ossia gli oggetti informatici sono studiati con metodologia propria di una o più scienze umane, come la sociologia.

4) La riflessione filosofica sull’informatica, cioè la riflessione teorica sui fondamenti dell’informatica che, come si è visto, sono di natura logico-matematica. Questa è anche l’opinione di uno storico della filosofia come Dino Buzzetti, che da tempo si occupa di IU: «Non intendo tanto l’IU come riflessione sui fondamenti teorici dell’informatica, perché questo riguarda piuttosto la filosofia o l’informatica, o entrambe, come discipline per sé stanti»[14].

5) Le tecnologie didattiche in genere. Nella declaratoria che si propone per il costituendo settore scientifico-disciplinare, cui si è già fatto cenno, leggiamo: «Nell’ambito delle metodologie didattiche [il settore] si occupa del corretto uso degli strumenti computazionali nella progettazione e nello svolgimento dell’attività didattica». Non sono d’accordo. Il riferimento alla computazione, a mio parere, qui è fuorviante (l’insegnamento-apprendimento è problema tutt’altro che computabile) e consegne simili si possono già leggere nelle declaratorie dei settori M-PED/03 «Didattica e pedagogia speciale» ed M-PED/04 «Pedagogia sperimentale». L’applicazione delle tecnologie al processo d’insegnamento e apprendimento è da tempo, infatti, oggetto di studio della pedagogia speciale e sperimentale, le quali applicano a questo campo d’indagine le loro proprie metodologie di ricerca. Non credo né giustificabile, né possibile, né conveniente che solo la didattica delle discipline umanistiche pretenda di essere sottratta a quest’ambito e spostata nella sfera dell’IU.

6) Da ultimo, con Tito Orlandi, vorrei spendere una parola anche su tutti quei lavori che certo non rendono un buon servizio ad una giovane disciplina che ancora cerca uno statuto disciplinare condiviso. Lo studioso, a proposito di molti presunti studi di IU, recentemente così si esprimeva: «Per lo più contengono la descrizione di lavori in corso d’opera…, nei quali i problemi di carattere teorico sono schiacciati sullo sfondo di un ambiente di pura tecnica… È raro trovare riferimenti alle soluzioni informatiche precedenti, utilizzate per problemi analoghi… Tutto questo contribuisce a rendere un cattivo servizio alla disciplina cui gli studi si riferiscono e giustificano lo scetticismo»; e ancora: «gli scettici sono spesso i migliori studiosi, che… riconoscono a fiuto la differenza fra uno studio serio ed una specie di gioco di prestigio»[15].

Le possibili risposte

Verifichiamo ora se questa visione dell’IU può, in qualche modo, aiutarci a risolvere alcuni dei dubbi e delle domande che ci siamo posti più sopra.

1) L’IU è una disciplina?

La risposta a questa prima domanda (ed è senz’altro una risposta affermativa) deve essere data in modo pragmatico, dall’esterno per così dire. Una disciplina scientifica esiste, nei fatti, quando sia individuabile una comunità scientifica che se ne occupi, delle istituzioni culturali o centri di ricerca che colleghino i suoi membri, quando esista una bibliografia scientifica di riferimento, delle riviste specialistiche, una manualistica dedicata e soprattutto un lessico disciplinare condiviso. Da questo punto di vista, ci si deve limitare a prendere atto, con onestà ed obiettività, che esistono già i presupposti per parlare dell’IU come di una scienza autonoma. Non è un curioso ossimoro, né il frutto dell’inventiva che ha portato ad oltre 2000 le denominazioni delle lauree in Italia dopo la riforma degli ordinamenti universitari; non è una moda passeggera legata al fascino dei nuovi media, e solo in apparenza ha a che fare con i calcolatori elettronici, ossia gli strumenti dell’informatica. A livello internazionale, infatti, esiste una comunità scientifica di studiosi che a vario titolo se ne occupa (articolata anche in associazioni, come l’Association for Computers and the Humanities, l’Association for Computational Linguistics, l’Association for Literary and Linguistic Computing, l’Association for History and Computing). Esistono i luoghi materiali per la comunicazione e lo scambio dei lavori di ricerca (tra le riviste scientifiche, ricordo almeno Computers and the Humanities, Literary and Linguistic Computing, Computers &Texts, Journal of Association for History and Computing). Esiste un’ampia bibliografia scientifica di riferimento ed esistono anche i repertori per orientarsi al suo interno, come l’ottima bibliografia di G. Adamo [16]. Al classico manuale di Tito Orlandi [17] si è recentemente aggiunto quello a cura di T. Numerico e A. Vespignani, Informatica per le scienze umanistiche, pubblicato da Il Mulino nel 2003.

2) Qual è l’oggetto di studio o il campo d’indagine dell’IU e quali sono le sue metodologie di ricerca?

A questa domanda abbiamo già implicitamente risposto, definendo l’IU come la disciplina che studia l’applicazione del modello computazionale proprio dell’informatica alle discipline umanistiche; dunque, essa applica le metodologie di ricerca proprie dell’informatica agli oggetti di studio tradizionali delle discipline umanistiche.

3) Esiste una sola IU o molte IU, quante sono le singole discipline umanistiche?

Per rispondere alla domanda, affrontiamo il problema, non irrilevante, di che cosa s’intenda con l’espressione discipline umanistiche. Non sembri banale il chiederci quali e quante sono. Nell’organizzazione attuale dei settori scientifico-disciplinari, che possiamo prendere come riferimento, l’ambito delle discipline umanistiche copre almeno l’Area 10 «Scienze dell'antichità, filologico-letterarie e storico-artistiche» e l’Area 11 «Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche». Ricordo che la prima comprende, a sua volta, gli studi di preistoria e protostoria, la storia antica, l’archeologia, le letterature e le filologie, gli studi storico-artistici, la critica letteraria ed artistica, le discipline dello spettacolo e la musicologia, la glottologia e la linguistica, tutte le lingue e le letterature straniere; mentre l’Area 11 raggruppa le storie medievale, moderna e contemporanea, la storia della scienza e quella delle religioni, le discipline demoetnoantropologiche e la geografia, le filosofie, l’estetica, le pedagogie e le psicologie, le scienze della documentazione come l’archivistica e la biblioteconomia. Credo sia comprensibile, a questo punto, l’evanescenza del concetto di fondo comune delle discipline umanistiche, cui s’è già accennato, e la sua sostanziale inservibilità nel momento fondativo di una nuova disciplina. Personalmente, sono maggiormente convinto dalla prospettiva delle molte informatiche umanistiche disciplinari, perché credo che le esperienze di ricerca più qualificate possano svolgersi solamente all’interno dei settori scientifico-disciplinari già dati. Ciò non significa, però, negare un momento di unità. Ci può venire in aiuto l’esempio della filologia, che, in quanto critica testuale, è sostanzialmente indipendente, nei suoi principi, da variabili storiche e, pur tuttavia, vive di volta in volta come filologia greca, filologia mediolatina, filologia della letteratura italiana. Le filologie, dunque, sono molte ed una insieme, le molte informatiche umanistiche disciplinari rimandano comunque ad una unità di metodo. Riprenderemo l’argomento rispondendo all’ultima domanda.

4) In quale segmento della formazione universitaria si deve collocare un’eventuale offerta formativa in IU?

Innanzitutto, invito a non confondere l’IU come disciplina dall’IU come Corso di laurea e ad evitare di incentrare il dibattito sullo statuto teorico della disciplina a partire dalle questioni degli ordinamenti didattici: è improponibile che l’esistenza di una laurea possa avere valore fondante per una qualsiasi disciplina. Se esiste una laurea, infatti, non è detto che debba esistere una disciplina corrispondente. Alcuni esempi di classi delle lauree specialistiche che, nella titolatura, indicano le competenze in uscita e non direttamente le discipline oggetto degli insegnamenti sono la classe 13/S «Editoria, comunicazione multimediale e giornalismo», la 39/S «Interpretariato di conferenza», la 59/S «Pubblicità e comunicazione d'impresa», la 88/S «Scienze per la cooperazione allo sviluppo»: una cosa è un settore della ricerca scientifica, altra cosa è un Corso di laurea. Nel disegnare quest’ultimo si indicano, infatti, le competenze (il portfolio, direbbero i pedagogisti) che il laureando deve acquisire; si traccia un progetto ed un percorso di formazione per un “informatico umanista”, persona che assomma in sé una duplice competenza e la potrà utilmente mettere a frutto nelle occupazioni professionali immaginate (editoria elettronica specializzata, sistemazione e presentazione di beni culturali, attività interculturali)[18]. L’IU, in quanto disciplina scientifica, contribuirà, nella misura di un certo numero di crediti, allo sviluppo di queste competenze e abilità. Ancora nella prospettiva delle informatiche umanistiche disciplinari, non posso che dichiararmi, dunque, a favore della scelta veneziana di attivare una laurea specialistica, anziché triennale. Se, infatti, alle competenze teoriche e pratiche è giusto, come ci ricorda Paolo Mastandrea, che «si affianchi la conoscenza approfondita di almeno un ambito disciplinare specifico, al fine di produrre applicazioni di natura informatica che contribuiscano al reale progresso di una disciplina»[19], risalta chiaramente il senso della scelta ministeriale che ha previsto la laurea specialistica in IU solo dopo il triennio di approfondimento a carattere disciplinare.

5) L’IU ha un ruolo all’interno dei restanti Corsi di laurea delle Facoltà umanistiche?

La stessa funzione che l’IU, in quanto disciplina scientifica, svolge all’interno dei Corsi di laurea della classe 24/S, potrà trovare ovviamente congruo spazio anche all’interno dell’offerta formativa di percorsi diversamente indirizzati; questo discorso (lo ripeterò ancora una volta) non riguarda, però, per le ragioni già dette, le abilità informatiche di base e specifiche, che saranno confinate, in quanto competenze tecnico-pratiche, nell’ambito f). Su questo punto mi permetto ancora due piccole provocazioni: in un’aula informatica, gli studenti apprendono come editare un testo elettronico ed inviarlo ad un corrispondente di posta elettronica: fu vera informatica? Nella stessa aula o laboratorio, gli studenti di letteratura greca imparano ad usare le principali banche dati testuali, patrimonio della disciplina: fu vera IU?

6) L’IU si occupa anche del corretto uso delle tecnologie nell’attività didattica?

Qualche breve appunto sui temi relativi alla didattica. È proprio a livello delle informatiche umanistiche disciplinari, secondo il mio giudizio, che si avrebbe il pregio di recuperare correttamente anche l’aspetto didattico, declinato, questa volta, non nel senso delle tecnologie dell’istruzione in genere, ma in quello della didattica disciplinare. Nell’istituzione universitaria (in ciò diversa da altri enti di pura ricerca, come il CNR), ogni disciplina comprende, infatti, la riflessione sui metodi e la predisposizione di strumenti utili alla sua trasmissione; ogni disciplina, quindi, può e deve occuparsi della trasmissione del deposito delle sue conoscenze anche attraverso l’uso delle nuove tecnologie digitali e telematiche, perché il contenuto che si trasmette non può mai essere considerato indifferente al processo della sua trasmissione.

7) È auspicabile che l’IU veda presto il suo riconoscimento in quanto settore scientifico- disciplinare?

La risposta è senz’altro difficile e impegnativa. A rischio di risultare pedante, anche qui procederei per premesse:

1) Una cosa è il problema della disciplina in sé, altra cosa quello dell’eventuale istituzione di un settore scientifico-disciplinare autonomo all’interno dell’organizzazione della ricerca scientifica in Italia (una cosa è lo statuto disciplinare, altra cosa lo status accademico di una disciplina).

2) Possono benissimo esistere discipline (ossia settori di studio) al di là dei settori scientifico-disciplinari indicati nei provvedimenti ministeriali. Penso, per esempio, alla codicologia, che è andata nel tempo distinguendosi dalla paleografia e che oggi è unanimemente considerata come una scienza autonoma: non solo non dispone di un settore scientifico-disciplinare, ma non è neppure nominata nelle declaratorie dei settori dove ci si aspetterebbe di trovarla.

3) Diversamente, talvolta, un settore scientifico-disciplinare copre, nella realtà, più discipline distinte. A volte già il titolo del settore lo dichiara apertamente, come nel caso di M-DEA/01 «Discipline demoetnoantropologiche», che comprende l’antropologia e l’etnologia; a volte lo ammette il testo della declaratoria, come M-STO/09 «Paleografia», settore che comprende anche la diplomatica, o L-ANT/03 «Storia romana», che comprende lo studio delle fonti epigrafiche. Si noti che nella precedente organizzazione dei settori, sia la diplomatica che l’epigrafia godevano di un proprio spazio; la rideterminazione dei settori, tuttavia, non si può dire abbia messo in dubbio l’autonomia del loro statuto disciplinare.

4) Segnalo che tra i settori scientifico-disciplinari riconducibili alle scienze umane, almeno uno già presenta un richiamo all’informatica: è L-LIN/01 «Glottologia e linguistica», la cui declaratoria afferma che «include, nell’ambito delle metodologie applicative del linguaggio, lo studio delle interazioni tra linguistica e informatica».

Considerato tutto questo e nella prospettiva, che ho già fatto mia, delle molte informatiche umanistiche disciplinari, mi trovo pienamente d’accordo con chi ha proposto di aggiungere righe alle declaratorie dei vari settori già esistenti, righe che facciano esplicito riferimento agli studi di IU. La richiesta di istituzione di un nuovo settore, invece, mi sembra avere in sé alcune incongruenze e controindicazioni:

1) in primo luogo, pretende ciò che a nessun altro è stato concesso: non esistono, infatti, altre informatiche applicate, neppure l’informatica medica o quella giuridica;

2) in secondo luogo, i proponenti sono costretti a chiederne l’istituzione sia all’interno dell’Area 10 che dell’Area 11, creando in questo modo un altro fastidioso unicum;

3) in terzo luogo, il richiamo, che spesso viene fatto, ad «una competenza umanistica di tipo trasversale» non è argomento granché forte a sostegno della richiesta. Così lo introduce Tito Orlandi: «Se si pensasse che una pretesa simile fosse irrealistica, si dovrebbe riflettere invece sul fatto che sono già ben consolidate in ambito umanistico discipline trasversali di questo tipo. È il caso per es. della codicologia, la quale presuppone una competenza anche nelle varie situazioni storico-linguistiche nelle quali sono stati usati i codici, ma nella sua essenza è indipendente da ciascuna di esse. E così la filologia, i cui principi sono sostanzialmente indipendenti dalla lingua dei testi a cui viene applicata, ma nello stesso tempo, nella prassi concreta, è strettamente connessa all’aspetto linguistico»[20]. Osservazioni difficilmente contestabili, ma, faccio notare, né la codicologia, né la filologia godono di un settore scientifico-disciplinare autonomo.

In conclusione, l’IU è una disciplina; proprio come la filologia ha un’unità di metodo, ma vive solo incarnandosi, per così dire, all’interno delle discipline già date e riconosciute come settori scientifico-disciplinari; non vi è oggi, dal punto di vista dello statuto disciplinare, alcuna stringente necessità di un suo riconoscimento come settore autonomo.

Nota al DM 18.3.2005

Maggiore attenzione avrebbe meritato, soprattutto nella piccola comunità degli studiosi di IU, l’uscita del Decreto Ministeriale 18 marzo 2005 (pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 5 aprile 2005, n. 78)[21], che recepisce una proposta formulata dal Consiglio Universitario Nazionale (parere generale n. 107) e modifica il testo delle declaratorie di alcuni dei settori scientifico-disciplinari, così come recate dal DM 4.10.2000. Tra i vari interventi, segnalo l’aggiunta di un esplicito riferimento agli studi condotti con metodologia informatica alle declaratorie di tutti i settori L-FIL-LET, da L-FIL-LET/01 CIVILTÀ EGEE a L-FIL-LET/15 FILOLOGIA GERMANICA. Il nuovo accenno è stato giustapposto e cucito al testo preesistente con modalità diverse, ma nella sostanza equivalenti; riporto, a mo’ d’esempio, la nuova declaratoria che si legge nel Decreto per il settore L-FIL-LET/04 LINGUA E LETTERATURA LATINA:

«Comprende gli studi filologici e letterari sulle opere in lingua latina e sui relativi autori dalle origini alla fine dell’evo antico, compresa l'età degli stati romano barbarici, studi condotti con gli strumenti propri e le metodologie della ricerca filologica, linguistica e critico-letteraria, con riferimento alla lingua latina e alla sua storia, nonché quelli sulle tecniche didattiche di trasmissione delle conoscenze relative al settore e quelli per l’analisi linguistica e informatica dei testi».

Pare, dunque, che le discussioni sullo status accademico dell'IU abbiano portato ad un primo importante risultato e proprio nella direzione, auspicata da chi scrive, delle molte informatiche umanistiche ben radicate nei settori scientifico-disciplinari già esistenti. Pur nella brevità del dettato, inoltre, la dicotomia tra «l’analisi informatica» e «i testi» si lascia facilmente assimilare a quella tra il modello computazionale proprio dell’informatica e gli oggetti di studio delle scienze umanistiche che, nel caso delle discipline linguistiche e letterarie, sono senz’altro identificabili con «i testi». Certo, si tratta di una soluzione parziale e non definitiva al problema dell’IU; fra le incongruenze ancora presenti, basterebbe citare il fatto che non solo non sono stati toccati i settori L-ANT, L-ART, L-LIN e L-OR dell’Area 10, ma soprattutto non sono stati fatti interventi su alcuna delle discipline dell’Area 11, nonostante i molti progetti di ricerca in corso, nell’ambito delle scienze storiche, che riguardano la digitalizzazione e l’analisi informatica delle fonti.

L’auspicio che si può formulare, in conclusione, è che questo piccolo passo a livello istituzionale possa portare la comunità scientifica a promuovere, all’interno dei singoli settori, piste di ricerca e singoli studiosi impegnati nell’ambito dell’IU e, cosa di cui si sente ormai urgente la necessità, possa favorire al più presto le condizioni migliori per la creazione di una vera e propria Società italiana di IU.


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Note

[1] Giulio Benedetti, Troppe lauree brevi, 400 saranno cancellate, «Corriere della Sera» 6 giugno 2002.

[2] Sull’intera vicenda si potranno avere maggiori informazioni consultando il sito http://crilet.scu.
uniroma1.it/
app-infum/
index.htm
[tutte le pagine web segnalate s’intendono visitate da chi scrive alla data del 1 marzo 2006].

[3] Cfr. Tito Orlandi – Raul Mordenti, Lo status accademico dell’Informatica umanistica, «Archeologia e Calcolatori» 14 (2003), pp. 7-32; la richiesta è presentata dallo stesso T. Orlandi nel suo intervento Proposta: Informatica applicata alle discipline umanistiche (ovvero: Informatica umanistica) su questo stesso sito (http://
www.griseldaonline.it/
informatica/
orlandi.htm
). Per le firme e la serietà degli interventi considero attualmente l’ampio spazio telematico, che GriseldaOnLine ha deciso di offrire al confronto tra studiosi ed esperti di IU, un punto di osservazione privilegiato sul tema. Sono lieto, inoltre, dell’accoglienza che ha ricevuto questo mio contributo che si pone in dialogo, a distanza, con quanti sull’argomento sono qui già intervenuti. Oltre ai contributi citati più oltre, ricordo anche le interessanti osservazioni di Domenico Fiormonte, Informatica Umanistica: rappresentanza, statuto teorico e rifondazione (http://
www.griseldaonline.it/
informatica/
fiormonte_
risposta.htm
) e Fabio Ciotti, L’informatica umanistica in Italia: luci e ombre (http://
www.griseldaonline.it/
informatica
/ciotti.htm
).

[4] Per la presentazione e le attività del CISADU rimando all’home-page del Centro: http://rmcisadu.let.
uniroma1.it.

[5] Lo riassume nei punti salienti Domenico Fiormonte, Il dibattito internazionale sull’informatica umanistica: formazione, tecnologia e primato delle lingue, in Giuseppe Gigliozzi: la fondazione dell’informatica applicata ai testi letterari, a cura di Raul Mordenti [=«Testo & Senso» 4/5 (2001-2002)], EUROMA, Roma 2002, pp. 145-156.

[6] Gino Roncaglia, Informatica umanistica: le ragioni di una disciplina, «Intersezioni» 3 (2002), pp. 353-376; l’intervento si legge anche on-line all’indirizzo http://
www.griseldaonline.it/
informatica /
roncaglia_
secondo.htm
.

[7] Ibidem.

[8] Cfr. il mio più ampio intervento L’informatica umanistica oggi. Appunti e riflessioni in margine all’XI Convegno di informatica umanistica (Verona, 28 febbraio – 1 marzo 2003), «Orpheus» 24 (2003), pp. 227-256.

[9] Un buon antidoto, in questo senso, si rivela la lettura di Tito Orlandi, Informatica umanistica. Riflessioni storiche e metodologiche, con due esempi, in Studi di codifica e trattamento automatico di testi, a cura di Giuseppe Gigliozzi, Bulzoni (Informatica e discipline umanistiche 1), Roma 1987, pp. 1-38.

[10] L’enfasi, giustificata in questo contesto, sull’aspetto algoritmico dell’IU non deve far dimenticare, tuttavia, il fatto che gli oggetti di studio delle scienze umanistiche necessitano innanzitutto di essere rappresentati in una forma digitale adeguata, devono, cioè, essere sottoposti a codifica, operazione cruciale per poterli trasformare in dati computabili, passibili di trattamento automatico. Un’introduzione alla problematica della codifica testuale, con utile complemento bibliografico, è quella di Fabio Ciotti, Cosa è la codifica informatica dei testi?, in Umanesimo & Informatica. Le nuove frontiere della ricerca e della didattica nel campo degli studi letterari. Atti del Convegno, Trento, 24-25 maggio 1996, a cura di Daniela Gruber – Patrick Paoletto, Metauro, Pesaro 1997, pp. 55-85.

[11] Al rapporto tra metodologie e soluzioni informatiche, da una parte, e i problemi della critica del testo, dall’altra, sono dedicati gli studi di Lorenzo Perilli, Filologia computazionale, Accademia Nazionale dei Lincei (Contributi del Centro linceo interdisciplinare “Beniamino Segre” 93), Roma 1995, e di Raul Mordenti, Informatica e critica dei testi, Bulzoni (Informatica e discipline umanistiche 10), Roma 2001, con ampia bibliografia generale alle pp. 151-172.

[12] Per una presentazione dell’algoritmo di analisi morfologica del LEMLAT, risultato del progetto di ricerca Repertorio Lessicale Automatico Latino e brevetto dell’Istituto di Linguistica Computazionale (ILC) del CNR, si veda di Giuseppe Cappelli– Marco Passarotti, LEMLAT: uno strumento computazionale per l’analisi linguistica del latino. Sviluppo e prospettive, «Evphrosyne» 31 (2003), pp. 519-531.

[13] R. Mordenti, Informatica e critica dei testi, cit., p. 22.

[14] Dino Buzzetti, L’Informatica umanistica come disciplina teorica (intervento on-line all’indirizzo http://
www.griseldaonline.it/
informatica/
buzzetti.htm
).

[15] Tito Orlandi, A che punto siamo con l’informatica umanistica?, in Giuseppe Gigliozzi, cit., pp. 107-108.

[16] Giovanni Adamo, Bibliografia di informatica umanistica, Bulzoni (Informatica e discipline umanistiche 5), Roma 1994; per un orientamento non puramente bibliografico, si veda anche The Humanities Computing Yearbook 1989-90. A Comprehensive Guide to Software and Other Resources, a cura di Ian Lancashire, Clarendon Press, Oxford 1991.

[17] Tito Orlandi, Informatica umanistica, La Nuova Italia Scientifica (Studi superiori 78), Roma 1990.

[18] Cfr. la voce «Obiettivi formativi qualificanti» nell’allegato n. 24 del DM 28.11.2000.

[19] Paolo Mastrandrea– Federico Boschetti, Dalle biblioteche alla rete, in DIDAMATICA 2002. Informatica per la didattica. Atti del Convegno di Napoli, 14-15 febbraio 2002, a cura di Alfio Andronico– Angelo Chianese – Bruno Fadini, Liguori Editore, Napoli 2002, pp. 85-92.

[20] T. Orlandi– R. Mordenti, Lo status accademico, cit., p. 8.

[21] Il testo del DM si legge anche on-line all’indirizzo http://www.miur.it/
0006Menu_C/
0012Docume/0015Atti_M/
4854Modifi_cf2.htm
.

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